martedì 21 dicembre 2010

Una comunità, un ospedale

Il diritto alla salute oggi viene interpretato in modo molto superficiale e a secondo degli interessi in gioco, ma comunque sempre a discapito dell’utente. Sia la tutela della personalità che della socialità viene ribadita spesso su documenti che in uno stato basato sull’inquadramento legislativo, dovrebbero avere un determinato valore come gli art. 2-3-32 della costituzione italiana e i dettami dell’O.m.s. che tendono a dare risalto all’elevazione della dignità sociale. Praticamente tutte queste parole si trasformano in interessi economici e privati che dell’utente non hanno nessun riguardo ma “curano” bilanci, profitti e affari poco puliti.
La nostra regione conta più di 18000 strutture sanitarie private, la prima in assoluto come numero in Italia, che hanno accesso ai finanziamenti regionali e non devono rispettare i parametri dettati per le strutture pubbliche, per non parlare della provincia di Siracusa che è la provincia italiana a più alta densità di presenza di cliniche private dove sono padroni del tutto o in parte il cuffariano Nunzio Cappadona, Bruna Cassola compagna del presidente dell’antimafia della stagione berlusconiana Roberto Centaro e il forzista Giancarlo Confalone assieme all’ex assessore comunale azzurro Antonello Liuzzo; tutto lecito, per carità, ma questa rete di affari può o no seminare il dubbio che gli interessati vogliano dare forza al privato senza battersi per il pubblico? Invece, in tanti altri casi sono per la stragrande maggioranza strutture nate per riciclare soldi sporchi, figli del connubio politica-mafia; quest’ultima da tempo si è evoluta cambiando la propria strategia criminale e creando al proprio interno una mentalità imprenditoriale molto spiccata che la allontana dall’immagine di organizzazione dedita al mercato della droga, della prostituzione e del racket e l’avvicina a quella manageriale di chi gestisce la cosa pubblica. Il piano di riordino iniziato col governo Prodi e continuato col governo Berlusconi ha quindi toccato solo il servizio pubblico, creando i disagi che oggi portano alla chiusura coatta di numerose strutture pubbliche, lasciando intere comunità prive di servizi sanitari e cancellando uno dei diritti fondamentali della persona, il tutto giustificato con parole quali “deficit”, “bilancio” e “risanamento”.
Lo stato che pretende da noi sempre più tasse e doveri invece deve essere obbligato a predisporre e garantire tutte le strutture e i mezzi idonei al conseguimento del soddisfacimento del diritto alla salute di ogni membro all’interno di ogni singola comunità esistente nel territorio, senza prendere come parametri di giudizio il numero di abitanti o la distanza tra gli stanziamenti, ma innalzando a fondamento la dignità e la persona in se stessa che come unità attiva deve pretendere di avere nel proprio ambito territoriale l’assistenza ospedaliera garantita in ogni sua forma.
Chiediamo quindi che non solo non vengano chiuse le strutture ospedaliere già esistenti, ma che invece siano predisposti i mezzi adatti a dare a ogni singola comunità o agglomerato la propria assistenza sanitaria totale in quanto non esistono utenti di serie a o serie b, ma persone che vengono rapinate dalle tasse statali per avere dei servizi che invece gli vengono strappati senza nessun criterio sociale.

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